MalamericaDi: Vincenza Costantino
Con: Mariasilvia Greco ed Ernesto Orrico Musiche eseguite dal vivo: Massimo Garritano Regia e spazio scenico: Ernesto Orrico Costumi: Rita Zangari Aiuto regia: Giovanna Chiara Pasini Luci e audio: Jacopo Andrea Caruso e Raffaele Iantorno Addetta stampa: Franca Ferrami Social: Giovan Battista Picerno Direttore di produzione: Lindo Nudo Produzione: Teatro Rossosimona |
Nella boarding house di una New York immaginaria tante figure transitano con le loro storie. Ad attenderle c’è Meri che, con curiosità e disillusione, ne amministra per un po’ le esistenze, ne ascolta i sogni, ne condivide i fallimenti. Ogni dialogo è un pretesto per un monologo, per una canzone o per una nuova narrazione, e sarà Joe a prestare il suo corpo/voce ai tanti fantasmi di un’emigrazione andata male. Meri invece, sulla soglia della sua isola sospesa, sceglierà se e quando partecipare al gioco, perché lei ne ha viste tante, ne ha sentite tante, e i ricordi a volte possono prendere il sopravvento, o confondersi con il desiderio di futuro.
Malamerica è uno spazio scenico in cui un’attrice, un attore e un musicista si espongono alla narrazione liminale e obliqua di un luogo che è meta d’arrivo e maledizione del desiderio. Un luogo che si forma come orizzonte di possibilità ma che una volta raggiunto può trasformarsi in inganno, tradimento e perdita. Malamerica si offre come una danza di parole nella quale si intrecciano vicende discordanti e lingue e dialetti si mischiano e si confondono, la sua naturale trasposizione in musica non poteva che avvenire attraverso la chitarra elettrica in una proposta che alterna saturazione e rarefazione, per disegnare uno “skyline sonoro” in continuo cambiamento. Malamerica apre uno squarcio su un patrimonio di storie che rivelano somiglianze e sovrapposizioni con quelle contemporanee, di chi parte in comodi aerei con robusti trolley, o dei migranti del sud del mondo che affrontano viaggi spaventosi per raggiungere le coste dell’Europa. |
4x25 |
Una città qualunque. Un lavoratore in nero. Uno dei tanti senza nome e senza volto, senza patria a volte. Uno dei tanti caricati all’alba dal caporale di turno. Una giornata di lavoro, dalle 6 alle 18 che tanto è estate e la giornata è più lunga, accanto a un “fratello” che condivide lo stesso destino e magari le stesse speranze, di certo le stesse paure. Storie che si intrecciano ad altre storie. Piccoli desideri da realizzare, grandi ferite da curare. E cemento e mattoni e calce. Un muro che diventa sempre più alto e pesante e da sopra quel muro vedere. Vedere la strada percorsa. Vedere chi si è diventati senza pietà per sé stessi. Vedere la propria dignità calpestata per continuare ad avere ancora un tetto sulla testa e un pezzo di pane sulla tavola. E una tavola può decidere un destino.
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Scritto, diretto e interpretato da Lorenzo Praticò
Tecnico di palcoscenico: Jacopo Andrea Caruso
Addetto stampa: Franca Ferrami
Direttore di produzione: Lindo Nudo
Produzione: Teatro Rossosimona
In collaborazione con: Mana Chuma Teatro
Tecnico di palcoscenico: Jacopo Andrea Caruso
Addetto stampa: Franca Ferrami
Direttore di produzione: Lindo Nudo
Produzione: Teatro Rossosimona
In collaborazione con: Mana Chuma Teatro
El blues di Loi |
El blues di Loi è una performance teatrale dove un’attrice e un poeta accompagnati da un musicista portano in scena i versi di una delle personalità poetiche più potenti del secondo Novecento italiano: il poeta Franco Loi. Un blues che si dipana attraverso quattro stazioni drammaturgiche. Nella prima è il poeta a prendere parola per divenire, al contempo, confessione e meditazione sull’atto del fare poesia e del vivere. Nella seconda stazione prende corpo il teatro in cui il poeta è vissuto: la città di Milano; modulando malinconie, sogni, speranze, memorie e rabbia. E qui il canto s’invera grazie ad una lingua -per dirla come scrisse il poeta- che si pisciava nelle strade della città meneghina: il dialetto milanese, al quale Loi è sempre rimasto fedele e che nel recital, pur nell’ardua traducibilità d’ogni verso, si alterna all’italiano e al napoletano, marcando il valore universale della poesia di Loi. Infine, nella terza e quarta stazione, dialogano e si sovrappongo, in un violento chiaroscuro, l’amore e la morte per poi ritornare alla voce del poeta che noi, oggi e sempre, vogliamo ricordare. |
Versi: Franco Loi
Drammaturgia: Igor Esposito
Con: Milvia Marigliano e Igor Esposito
Sonorizzazioni e tromba: Ciro Ricciardi
Supervisione: Peppino Mazzotta
Produzione: Teatro Rossosimona
Direttore di produzione: Lindo Nudo
Drammaturgia: Igor Esposito
Con: Milvia Marigliano e Igor Esposito
Sonorizzazioni e tromba: Ciro Ricciardi
Supervisione: Peppino Mazzotta
Produzione: Teatro Rossosimona
Direttore di produzione: Lindo Nudo
Ars Longa Vita Brevis |
Il monologo comico racconta in chiave grottesca della precarietà del lavoro dell’artista nelle sue varie sfaccettature, la dura formazione prima e la difficile ricerca di un lavoro poi. Il serio e disciplinato studio si schianta contro un mercato sempre più al ribasso, la ricerca del lavoro sembra significare dover vendersi al miglior offerente. Ars longa vita brevis mostra, attraverso alcuni personaggi interiori, gli incontri con registi e produttori da convincere, discussioni tragicomiche, self tape esilaranti, grandi entusiasmi e delusioni più o meno previste. La situazione collassa su sé stessa al tempo del Covid19, l’isolamento mette a nudo altre fragilità, ma dona anche nuove consapevolezze. Sempre attraverso gag esilaranti emerge una riflessione sui valori essenziali delle nostre vite, spesso troppo brevi rispetto all’arte che dovremmo apprendere per rendergli degnamente omaggioClicca qui per modificare. |
Scritto, diretto e interpretato: Alessandro Castriota Scanderbeg
Direzione tecnica: Jacopo Andrea Caruso
Direttore di produzione: Lindo Nudo
Assistente di palcoscenico: Joneredi Bejerano Jane
Ufficio Stampa: Franca Ferrami
Foto: Claudia Rizzuti
Collaborazione tecnica: Francesco Coscarella
Direzione tecnica: Jacopo Andrea Caruso
Direttore di produzione: Lindo Nudo
Assistente di palcoscenico: Joneredi Bejerano Jane
Ufficio Stampa: Franca Ferrami
Foto: Claudia Rizzuti
Collaborazione tecnica: Francesco Coscarella
Dammi un attimo |
Che cos’è la normalità? Come o quando può una coppia definirsi normale? Quando entrambi hanno un lavoro sicuro e mettono su famiglia? Parrebbe allora che normalità faccia più rima con stabilità; che abbia a che vedere con metter le radici in un luogo, in una persona, in un ingranaggio. Il popolo dei trenta quarantenni, a dispetto dei loro genitori, questa stabilità la disprezza e nello stesso tempo la invoca quando il terreno sotto i piedi inizia a diventare fin troppo sconnesso e fragile. Francesco e Silvia sono, appunto, una coppia che tenta di colmare quel vuoto disegnando una normalità possibile. La proposta di fare un figlio da parte di Francesco provoca un vero e proprio terremoto. Francesco riversa nella possibilità di un figlio il proprio riscatto di figlio, anelando un futuro finalmente libero dal peso di suo padre, Silvia percepisce quella possibilità come un’intrusione nel suo corpo, nella sua vita, nei suoi progetti, iniziando così dentro di sé una dura lotta con quel modello femminile di madre tramandatole dal quale vuole conservare ciò che realmente sente che le appartiene. In questo terremoto un’intrusione reale c’è: Maria, la sorella di Francesco, che troverà rifugio a casa loro per godere di un po’ di tempo per sé, lontana da marito e figlio. Lei sarà ago della bilancia dei contrasti, riuscirà, più o meno consapevolmente, con il suo sguardo lucido e leggero ad aiutare Francesco e Silvia ad affrontare quel continuo “non siamo pronti”. Il verbo rimandare da imperativo morale viene gradualmente accantonato, sorgeranno domande mai poste e la possibilità di una famiglia acquista contorni diversi. Il loro stare insieme si nutrirà di un senso nuovo perché se come prima non possiamo più Essere allora bisognerà Essere in un altro modo. |
Drammaturgia e regia: Francesco Aiello e Mariasilvia Greco
Con: Francesco Aiello, Mariasialvia Greco e Maria Canino Direttore di produzione: Lindo Nudo Responsabile tecnico: Jacopo Andrea Caruso Ufficio Stampa: Franca Ferrami Social Media: Giovan Battista Picerno Produzione: Teatro RossoSimona/Teatro del Carro MigraMentiSpac Badolato |
Doctor FrankensteinDrammaturgia: Francesco Niccolini
Diretto e interpretato da: Francesco Aiello e Fabrizio Pugliese Musiche: Remo De Vico Responsabile tecnico: Jacopo Andrea Caruso Produzione: Teatro RossoSimona |
Il centro del lavoro è focalizzato sul rapporto tra i due personaggi, il dottore-creatore e il mostro-creatura e concentra l'azione in un momento ben preciso, un momento importante, critico, il momento in cui la creatura prende coscienza della sua condizione di alterità, della sua anomalia di creatura generata "oltre natura", in modo artificiale, senza storia, senza memoria, solo con una serie di desideri urgenti e forse irrealizzabili. La scena è una stanza-laboratorio in cui si intravedono i precedenti esperimenti del Doctor: creature imperfette, inanimate, manufatti inutili, un luogo dove si intuisce l'irrefrenabile voglia di lasciare qualcosa ai posteri, di "registrare" l'accaduto, di documentare l'evento, quello della creazione, anche se innaturale, anche se mostruoso. È nello scontro tra queste due figure, tra queste due "umanità" malate, che si dipana l'azione drammatica, senza rinunciare a momenti di distaccata ironia, attimi di folle lucidità dei personaggi, spazi narrativi in cui porre domande e questioni "etiche" alte; questioni che sfuggono al controllo dei personaggi stessi, domande da porre con un sorriso, ma col rischio continuo di provare vertigini infinite. |
Lucciole. D'insetti, punk e Calabria paranoica |
Un gruppo di punk, di un non meglio precisato paesino della provincia calabrese, decide di occupare uno stabile, al posto del quale l'amministrazione comunale vorrebbe costruire un parcheggio, sterminando così le lucciole che abitano quel luogo. Quando, dall'esterno, gli staccano la corrente elettrica, portare avanti la loro azione politica diventerà difficile, soprattutto perché una degli occupanti ha bisogno della sua dose di insulina per tenere sotto controllo il diabete. Di comune accordo, decidono di chiedere aiuto a un uomo vicino al “Partito”, di cui tutti si fidano poco ma è, comunque, l'unico che gli darebbe retta in quel momento. Altri avvenimenti metteranno a dura prova la tenuta del gruppo: uno di loro è determinato a scoprire chi, tra gli occupanti, usa il suo shampoo da 15 € per fare il bidè; altri tre proveranno a iniziare una relazione poliamorosa. |
Scritto e diretto da: Francesco Aiello
Con: Maria Canino, Salvo Caira, Giovan Battista Picerno, Cesare Vitaliano, Alessandra Curia Direzione tecnica: Jacopo Andrea Caruso Scene: Francesco Coscarella, Jacopo Andrea Caruso Direttore di produzione: Lindo Nudo Assistente di palcoscenico: Yoneredy Bejerano Jane Ufficio stampa: Franca Ferrami Foto e video: Caterina Cozza |
Al posto sbagliato. Storie di bambini vittime di mafiaDi: Bruno Palermo
Adattamento drammaturgico e regia: Francesco Pupa Con: Francesco Pupa Scenografia e disegno luci: Angelo Gallo Responsabile tecnico: Jacopo Andrea Caruso Tecnico di palco: Francesco Franco Assistente alla regia: Stefania Scola Addetto stampa: Franca Ferrami Collaborazione artistica: Francesco Aiello Direttore di produzione: Lindo Nudo |
Una sigaretta accesa, un uomo di spalle, una nube di fumo, un libro che si apre, un racconto che inizia come una fiaba “C’erano una volta tre fratelli …”, la leggenda di tre cavalieri spagnoli, falsi miti e giuramenti d’onore che si rincorrono. La mafia ha sempre fatto proclami per il rispetto di donne e bambini, di tale ostentato rispetto, Bruno Palermo autore del libro da cui lo spettacolo è tratto, non ne ha rinvenuto traccia, anzi. Le mafie uccidono i bambini. Un racconto che parte dagli albori del fenomeno mafia per arrivare ai giorni nostri, storie di bambini a cui sono stati interrotti i propri sogni, storie che abbiamo sentito il bisogno di raccontare intrecciando avvenimenti storici e canti popolari. A raccontare sono il cliente di un negozio, il padre di una vittima, un prete, dei pentiti, un aedo, la lettera di un bambino, un magistrato. Le storie man mano prendono vita da un personaggio al altro, storie riportate su un’agenda rossa che ha il merito di legarle insieme, per tracciare il filo rosso dell’ipocrisia che si nasconde dietro il fenomeno mafioso. Storie supportate da musiche e suoni, con la scenografia composta da cubi sempre in continua trasformazione, un bancone di un negozio, un pulpito, delle montagne, una croce, una porta di calcetto, un pozzo. Un viaggio che ci racconta le storie dei bambini e delle bambine, ma anche la storia e l’evoluzione delle mafie, un viaggio forte, che si conclude al binario della legalità. Al posto sbagliato ci sono e ci saranno sempre assassini e mafiosi. La mafia non è affatto invincibile; è un fatto umano, e come tutti i fatti umani ha avuto un inizio e avrà anche una fine. |
Doppia Coppia |
Una coppia di attori di mezza età sul set di un film interpretano due personaggi poco più che adolescenti. La coppia un tempo aveva riscosso un buon successo con alcuni film che parlavano del loro amore. Rimasti inchiodati al ruolo, dopo tanti anni, per tirare avanti, recitano pateticamente sempre la stessa parte, per quanto ormai attempati e in eterno conflitto a causa della loro burrascosa separazione. A complicare le cose un assistente regista che detta i tempi del film con il suo stop e azione e che, suo malgrado, porta ancora più all’esasperazione l’Attore a causa delle mille incomprensioni che sorgono tra i due. Ma non è finita! Perché ora dovete calare tutto questo ai tempi del Covid 19, con le sue ferree regole di sanificazione e distanziamento sociale. Un mix esplosivo, una prova attoriale magistrale che ha portato questo spettacolo a vincere il primo premio della rassegna brillante “Se ridi, viene meglio”, organizzato dal teatro Antigone di Roma. |
Di: Ciro Lenti
Con: Paolo Mauro, Raffaella Reda e Graziella Spadafora Responsabile tecnico: Jacopo Andrea Caruso Assistente di palcoscenico: Jonereidy Bejerano Jane Organizzazione: Giovan Battista Picerno Addetto stampa: Franca Ferrami Direttore di produzione: Lindo Nudo |
UN NEMICO DEL POPOLO |
“Un nemico del popolo” scritto nel 1882 è uno dei drammi più celebri di Henrik Ibsen, oltre cento anni dopo il suo concepimento mostra ancora tutta la sua freschezza e attualità. La lettura di Aiello contribuisce a far emergere uno dei nodi fondamentali della politica contemporanea, ovvero quello della creazione del consenso attraverso la formazione di una maggioranza cieca, pronta a seguire pedissequamente i mestieranti della politica Scrive Francesco Aiello nelle note di regia: la nostra è una lettura di "Un nemico del popolo" che oscilla fra il fuori politico e il dentro dell'interiorità umana, convinti di restare fedeli alle intenzioni ibseniane. Il dramma familiare diventa politico, la questione centrale delle terme inquinate, fiore all'occhiello della città, oscilla fra vendetta personale e amore per la cosa pubblica. I vizi privati del dottor Stockmann costituiscono il carburante delle sue virtù politiche. Anche la nostra messa in scena cerca di rendere chiaro questo aspetto passeggiando pericolosamente sul confine tra l'interno e l'esterno. Thomas Stockmann rimugina, anzi rumina mentalmente gli avvenimenti che lo hanno condotto ad essere additato come un nemico del popolo, senza mai accorgersi di ciò che lo muove da un punto di vista privato: i sentimenti di rivalsa verso un familiare socialmente più fortunato. Lo scienziato, chiuso nella sua interiorità, viene mosso da sentimenti non pregevoli, ma certamente umani, sentimenti che lo contrappongono all'altro protagonista del dramma, suo fratello, sorella nella nostra chiave interpretativa. La sindaca è una donna cosciente del suo ruolo politico, perfettamente integrata nelle strutture gerarchiche del suo tempo, ottima rappresentante di quella maggioranza che più o meno consapevolmente fa il gioco del potere, amplificandone la voce e permettendo quel dispotismo morbido tipico delle democrazie contemporanee. |
Adattamento e regia di Francesco Aiello
Con: Francesco Rizzo, Maria Canino, Giovan Battista Picerno,
Jacopo Andrea Caruso, Alessandra Curia, Salvo Caira, Stefania Scola
Musiche: Remo de Vico
Scenografia: Caterina Cozza
Addetto stampa: Franca Ferrami
Responsabile tecnico: J. A. Caruso
Direttore di produzione: Lindo Nudo
Produzione: Teatro Rossosimona
Con: Francesco Rizzo, Maria Canino, Giovan Battista Picerno,
Jacopo Andrea Caruso, Alessandra Curia, Salvo Caira, Stefania Scola
Musiche: Remo de Vico
Scenografia: Caterina Cozza
Addetto stampa: Franca Ferrami
Responsabile tecnico: J. A. Caruso
Direttore di produzione: Lindo Nudo
Produzione: Teatro Rossosimona
PINOCCHIO 'U LIGNISTUARTUAdattamento drammaturgico e regia Lindo Nudo
Con: Giuseppe Agostino, Alessandro Bonifacio, Giuseppe Bonifacio, Yonereidys Bejerano Jane, Salvo Caira, Giulia Caruso, Francesca De Luca, Giulia Dodaro, Ugo Lanzafame, Alessia Lico, Giovanbattista Picerno, Rina Scala, Stefania Scola e Chiara Vinci. Scene, attrezzeria e maschere: Teatro della Maruca Costumi: Caterina Cozza Consolle Audio Luci: Jacopo Caruso Gestione Sala: Noemi Caruso Responsabile logistica: Ugo Lanzafame Addetto Stampa: Franca Ferrami Video e foto di scena: Claudia Gullà Direttore di Produzione: Lindo Nudo Produzione: Teatro Rossosimona Le canzoni “Pinocchio testadura” e “Ara trattoria d’a prupetta càvuda” sono composte e interpretate da Giovan Battista Picerno Le voci fuori campo sono di Paolo Mauro e Lindo Nudo |
Esito finale del corso per Allievi Attori tenuto da Lindo Nudo nella stagione 2018/2019, la rilettura del classico per ragazzi scritto da Carlo Collodi fra il 1881 e il 1883 è il pretesto per giocare al teatro sperimentando personaggi e situazioni. Una messa in scena corale e divertente, con 14 attori alle prese con più personaggi da interpretare e una storia di ribellione e crescita che continua ad essere attuale e godibile a tutte le età. «‘U lignistùartu è il bambino discolo – spiega il regista Lindo Nudo -, che fa sempre il contrario di quello che gli si dice e fa arrabbiare i genitori. È l’aggettivo con cui da bambini venivamo rimproverati». Termine dialettale che ben si addice al personaggio Pinocchio e che anticipa l’introduzione nella pièce di alcuni dialoghi in calabrese, come già successo in molte delle produzioni di Rossosimona. |
POMICE |
POMICE è un racconto in musica e parole ispirato alla chimera
dei poeti calabresi fra tutti Franco Costabile, Leonida Repaci e Lorenzo Calogero. POMICE racconta di una CALABRIA che cade a pezzi sotto le scosse dei terremoti e sotto il peso dell’indifferenza ma rivela anche una CALABRIA che resiste e si difende. Con “pomice” Noemi Caruso (danzatrice/attrice) e Luigi Marino (cantautore/attore) insieme alla violoncellista Alessandra Ciniglia vogliono rimarcare la fatica di difendere un APPAESAMENTO e la disavventura del RESTARE e per farlo attingono ai testi dell’antropologo Vito Teti oltre che a scrittori e artisti come Carlo Levi, Krzysztof Kierslowski, Antonio Tabucchi, Corrado Alvaro e Wim Wenders. Ci sono luoghi che rischiano di scomparire come se fossero poggiati sull’invisibile e quando anche le case diventano tombe e tutto è avvolto nel silenzio le pietre sono costrette a parlare. |
CECHOV IN...ATTI UNICIRegia di Lindo Nudo
Con Francesco Aiello, Chiara Vinci, Francesco Rizzo, Maria Canino, Salvo Caira Scenografia Angelo Gallo (Teatro della Maruca) Costumi e Attrezzeria Paolo Mauro Aiuto regia Giovanbattista Picerno Assistente alla regia Giulia Dodaro Tecnico di palcoscenico, consolle Jacopo Caruso Sarta di scena Yonereidys Bejerano Jane Gestione Sala Noemi Caruso, Luigi Marino Organizzazione Generale, addetto Stampa Franca Ferrami La canzone “Ho avuto tre duelli” è composta da Giovan Battista Picerno |
Un ritorno ai classici. Una nuova produzione che rende omaggio allo scrittore e drammaturgo Anton Čechov, figura di spicco
nella storia del teatro ottocentesco, per molti versi anticipatore della drammaturgia moderna. Lo spettacolo “Čechov in…Atti unici”, il 9 e 10 ottobre alle 21 sul palco del Piccolo Teatro dell’Università della Calabria, mette in scena gli atti unici “La domanda di matrimonio” e “L’ orso”, intervallati dal racconto “La morte dell’impiegato”: se i primi due vaudeville sembrano essere l’uno lo specchio dell’altro – nel primo l’amore inciampa nell’avidità dei protagonisti, nel secondo è una disputa economica a riportare le gioie amorose nella vita del personaggio principale -, la vicenda narrata nel racconto lascia l’amaro in bocca, rendendo la pièce ricca di spunti di riflessione senza tuttavia rinunciare al divertissement e all’indagine psicologica. La rappresentazione “Čechov in…Atti unici”, voluta dal direttore artistico di Teatro Rossosimona Lindo Nudo, rispetta le atmosfere čechoviane e costituisce una palestra per gli allievi del corso di formazione per attori tenuto appunto da Nudo nella stagione 2017/18. |
CECHOV RACCONTARegia di Giovan Battista Picerno
Con Claudia Rizzuti, Federica Suraci, Francesco Guzzo Magliocchi, Alessandra Curia, Stefania Scola e Salvo Caira Aiuto regia Federica Suraci Scenografia Caterina Cozza Testi e musiche originali Vincenzo Caputo Tecnico di palcoscenico, consolle Jacopo Caruso Gestione Sala Noemi Caruso, Yonereidys Bejerano Jane Organizzazione Generale, Addetto Stampa Franca Ferrami Direttore di Produzione Lindo Nudo Produzione Teatro Rossosimona GALLERY
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Lo spettacolo è il frutto di un percorso di studi
nato in seno al corso di Formazione per Attori tenuto da Lindo Nudo, direttore artistico della compagnia, e si colloca all’interno del progetto “Allievi in Scena”, attraverso il quale favorire il ricambio generazionale e la creazione di nuove figure professionali nell’ambiente teatrale. La ricerca condotta dagli allievi attori si è concretizzata in uno studio sui racconti di Anton Čechov, in particolare “Jonyč”, “Un caso di pratica medica” e “Reparto n° 6”, quest’ultimo ritenuto uno dei più riusciti e controversi fra la moltitudine delle opere dello scrittore e drammaturgo russo. Scrive G.B. Picerno nelle note di regia: “Non è un caso che i protagonisti dei tre racconti siano dei medici: attraverso questo confronto abbiamo voluto indagare il rapporto che Anton Cechov aveva con quella che egli stesso considerava la sua legittima moglie, la medicina. Abbiamo cercato le ragioni che spinsero il medico a cercare rifugio fra le braccia della concubina che lo ha reso immortale, la letteratura. Le tematiche descritte si condensano in una messa in scena dinamica ed essenziale, secondo la tradizione di Teatro Rossosimona, abbracciando una modalità narrativa che risente profondamente, e non poteva essere altrimenti, dei linguaggi della contemporaneità”. |
'U PRINCIPICCHIUGALLERY
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Regia di Lindo Nudo
Con gli allievi del Corso di Formazione per Attori Emanuel Bianco/ Salvo Caira/ Maria Canino/ Jacopo Andrea Caruso/ Filippo Luciani/ Giovan Battista Picerno/ Claudia Rizzuti/ Stefania Scola/ Giuseppe Sgambellone/ Federica Suraci Disegno luci Antonio Molinaro Gestione Sala Noemi Caruso, Luigi Marino Costumi e scenografia Teatro della Maruca (KR) Addetto stampa Franca Ferrami Foto e video di scena Claudia Gullà Immagine di copertina Francesco Tenuta |
LA VITA DIPINTATesto Igor Esposito
regia, interpretazione e luci Tonino Taiuti scene e assistente alla regia Luca Taiuti costumi Sara Marino sguardo dada Giovanni Ludeno disegno luci Tonino Taiuti sound design Marco Vidino direttore di produzione Lindo Nudo produzione Teatro Rossosimona |
La vita dipinta è una partitura monologante che prende vita
e risuona con il corpo e la voce di Tonino Taiuti sulle note di una biografia rocambolesca, fantastica e surreale. Biografia di un artista immaginario che canta le sue imprese pittoriche e i suoi poetici incontri con alcuni dei grandi maestri che hanno segnato il corso della storia dell’arte del Novecento, lasciandone un’impronta indelebile chi con il proprio vissuto o con la fame interiore, chi con un lascito di immaginazione, coraggio o radicalità. «Il protagonista della Vita dipinta è un artista immaginario che diviene così testimone e commensale, al contempo, di un’esaltante e necessaria esperienza artistica ed umana che percorre il Novecento. E lo fa attraverso un capriccio o un sogno dell’immaginazione, divenendo specchio e riflesso della follia. Il suo errare immaginifico è simile a quello di un vecchio Don Chischiotte dell’arte contemporanea. A sostegno delle sue imprese – va però detto – che non c’è nessun Sancho Panza, ma una serie di angeli custodi, di cui forse anche noi conosciamo i nomi e i volti. Artista sradicato e solitario, passo dopo passo, sprofonda nel suo delirio e non rinsavisce come il vecchio hidalgo della Mancia; ma, forse, proprio per questo sembra incarnare e ricordarci ciò che scrisse Michel Foucault nella sua monumentale Storia della follia nell’età classica: “La follia, nei suoi vani ragionamenti, non è vanità”. Così come non è vanità l’arte attoriale di Tonino Taiuti. Anarchico e solitario artista della scena napoletana, al quale ho pensato, sin dalla prima battuta, come unico possibile interprete di questo monologo». [Igor Esposito] «La vita dipinta è un monologo funambolico che attraverso la voce bambinesca d’un folle ci fa sprofondare nel cuore della pittura e dell’arte e lo fa con leggerezza, ironia e dolore; cercando di riportare alla luce versi, pensieri e immagini di alcuni grandi maestri del Novecento. la partitura è una drammaturgia dove prende corpo una scrittura musicale e ritmica che gioca su più registri, che vanno dall’affabulatorio al lirico, dando così la possibilità all’attore di farsi giullare cantastorie oppure oracolo della follia che brucia in un delirio angelico di poesia. Ho sentito, già dalla prima lettura, questo testo come necessario: perché ci mette di fronte al coraggio e alla radicalità che da sempre è – a mio avviso – il cuore pulsante dei veri artisti e che rifugge dal mondano e vano chiacchiericcio in cui, gran parte dell’arte, sembra essersi persa e degradata». [Tonino Taiuti] |
CONFESSIONI DI UN MASOCHISTAdi Roman Sikora
regia Francesco Aiello con Francesco Aiello, Francesco Rizzo, Alessandro Cosentini Una produzione Rossosimona responsabile tecnico Jacopo Caruso costumi, maschere ed elementi di scena Martina Le Fosse ufficio stampa Franca Ferrami GALLERY
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Il signor M è una persona molto complicata.
A lui non interessano le cose effimere e irraggiungibili come la soddisfazione, la felicità e l'autorealizzazione - le cose che tutti gli altri vogliono. Vuole soffrire, e non solo sotto la frusta della sua fidanzata o del suo fidanzato. Sta cercando dolore nel senso più ampio del termine. Le ultime elezioni parlamentari gli hanno portato una prospettiva del mondo piena delle gioie che desidera. Non gli importa dei diritti umani. Al lavoro, è felice quando è vittima di bullismo da parte del suo capo e quando deve lavorare molto duramente per uno stipendio che è estremamente basso. Non vuole che nessuno difenda i suoi diritti. Sostiene il governo nel limitare i diritti dei dipendenti e nel trasferire la maggior parte dei servizi pubblici nel settore privato. Quando ottiene assistenza sociale, chiede la sua abolizione. Quando lavora, chiede orari di lavoro più lunghi e salari più bassi. Quando vota, chiede restrizioni del diritto di voto per persone come lui: i perdenti e i pigri. È un uomo che vuole soffrire e sembra che i suoi giorni più brillanti debbano finalmente venire. È andato al ballottaggio con enorme gioia, ma la sua vita non è andata esattamente come voleva lui. Quando sconfigge un contendente cinese alle Olimpiadi delle Risorse Umane, riceve riconoscimenti pubblici e Miroslav Kalousek lo invita nel club. Ma non è quello che voleva Mr M. |
SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATEAdattamento drammaturgico e regia di Lindo Nudo.
GALLERY
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Con gli allievi del Corso di Teatro per Adulti:
Giuseppe Agostino, Yonereisys Bejerano Jane, Salvo Caira, Maria Calautti, Ilaria Curcio, Giulia Dodaro, Bonifacio Giuseppe, Daniela Imbardelli, Ugo Lanzafame, Daniela Macario, Rina Scala, Laura Savastano, Francesco Scornaienghi, Giuseppe Sgambellone, Giovanni Pucci, Chiara Vinci. Gli arrangiamenti delle canzoni: “Tengo ‘na zia vedova”, “Rock Oberon” e “Blues Oberon ” sono di G. B. Picerno. La canzone: “Robertino Rap” è di Lorenzo Brigante. Responsabile logistica laboratorio: Ugo Lanzafame Assistente alla Regia: Giulia Dodaro Consolle audio luci: Jacopo Andrea Caruso Gestione Sala: Noemi Caruso - Luigi Marino Addetto stampa: Franca Ferrami Costumi e scenografia: Teatro della Maruca (KR) |
ANCH’IO SONO MALALA. STORIA DI UNA RAGAZZA COME ME.Con Noemi Caruso
Scene e regia Dora Ricca Direzione di produzione Lindo Nudo Produzione Teatro Rossosimona Elaborazione suoni Alessandro Rizzo Tecnico di palcoscenico Jacopo Caruso Addetto stampa Franca Ferrami Foto e video Linda Fassari Con il patrocinio di Unicef Calabria Women’s Studies Milly Villa UniCal What Women Want GALLERY |
Un progetto di Dora Ricca che Rossosimona ha sposato
perché coerente con il percorso artistico della compagnia, attento e rivolto sin dagli esordi al teatro di impronta sociale. Una storia vera che ha dell’incredibile, con protagonista una ragazza che lotta contro una dittatura oscurantista per garantire l’istruzione alle donne nel suo paese. Malala Yousafzai ha ricevuto nel 2014 il premio Nobel per la Pace; dalla sua autobiografia è stato tratto uno spettacolo che propone una lettura trasversale della figura femminile: “Un progetto - spiega l’autrice e regista Dora Ricca - che si pone l’obiettivo, attraverso la giocosità riflessiva della rappresentazione scenica, di parlare del ruolo della donna in società differenti e di sottolineare l’importanza dell’istruzione come arma di contrasto consapevole per combattere forme diffuse di oppressione”. “Anch’io sono Malala. Storia di una ragazza come me” ha debuttato il 24 novembre 2017 sul palcoscenico del Teatro dell’Acquario di Cosenza, nell’ambito delle manifestazioni della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, e una parte del ricavato dello spettacolo viene devoluto alla sezione regionale dell’Unicef. “L’idea di questo dialogo interattivo - aggiunge Dora Ricca - in cui il personaggio si rivolge direttamente al pubblico dei ragazzi, teatralizzato in un unico atto e arricchito da scene e costumi, è di porre l’attenzione sulle tante problematiche che, ancora oggi, persistono in alcune realtà, dal Pakistan ai retaggi culturali di casa nostra”. |
TEATRO ROSSOSIMONA: ANTIGONE
“Quando il Teatro è fatto dai giovani c’è lo stupore di una esperienza emozionante e sicuramente il coraggio di ripensarlo non solo
come spettacolo, ma soprattutto come spazio aperto al dialogo, al racconto di sé all’ altro". Lindo Nudo GALLERY |
Con gli allievi attori del Corso di Formazione per Attori: Emanuel Bianco Maria Canino Rita Carofiglio Jacopo Andrea Caruso Antonio Conti Ilaria Curcio Francesca Flotta Ilaria Molly Giancola Alessia Mercuri Giovan Battista Picerno Claudia Rizzuti Sofia Skizzetto Sangiovanni Serena Scigliano Federica Suraci Simone Zampaglione Antonello Zito |
L' INCIDENTE, IO SONO GIA' STATO MORTOdi Francesco Aiello
con Giulia Pera, Francesco Rizzo, Gianluca Vetromilo produzione Teatro RossoSimona ufficio stampa e organizzazione Franca Ferrami grafica Alessandro Aiello tecnico di palcoscenico Luigi Piccinino direzione di produzione Lindo Nudo disegno luci e regia Francesco Aiello |
Stendere il braccio, farsi legare un laccio emostatico,
vedere l'ago che entra nella vena e il sangue che riempie la boccettina. E, soprattutto, attendere i risultati. Per Francesco tutto questo è impossibile. Non vuole sapere nulla di cosa accade nel suo corpo. Ignorarlo vuol dire non affrontare il problema e questo gli basta. Anzi, non vuole saperne niente di dottori, ospedali, ambulatori, farmacie. E non perché la malattia non lo spaventi, basta sentire i sintomi di una qualsiasi patologia al telegiornale per metter in allarme tutti e, prima di chiunque altro, la sua ragazza, Marta. Le ha fatto credere di avere un infarto in corso, l'ebola, l'AIDS, la meningite. Francesco è un ipocondriaco. A suo dire, però, non senza una ragione. Un imbarazzante incidente che lo ha visto coinvolto quando aveva tredici anni lo ha portato a coltivare i suoi timori. Quale sia stato l'incidente sono in pochi a saperlo, perché Francesco non vuole parlarne con nessuno, neanche con Marta. Le continue discussioni con lei e con il fratello Lele lo portano a rievocare episodi del passato, in un serrato montaggio tra reale e onirico, passato e presente, ricordo e immaginazione: l'operazione a cui è stato sottoposto, il risveglio dall'anestesia, la sua vita prima dell'incidente. Lo spettatore assiste, così, al travaglio interiore del protagonista che dovrà prendere una decisione per gli altri banale ma che, per lui, diventa un bivio di fronte al quale potrebbe cambiare la sua vita: riempire o no in contenitore per le analisi delle urine. Francesco Aiello, classe 1981, inizia il suo percorso teatrale al Libero Teatro di Cosenza prendendo parte a molti degli spettacoli messi in scena dal regista Max Mazzotta tra cui Il sogno di Lear da Shakespeare, Vuoti di memoria da Primo Levi, Caos da Luigi Pirandello, Visioni di Galileo da Bertolt Brecht, Giangurgolo – Principe di Danimarca da Shakespeare. Viene diretto da altri registi come Francesco Suriano (Arrobbafumu, La brocca rotta a Ferramonti, Peer 'u stortu, Salvatore, Cacaticchiu, Gambilonghe e Ferdinando), Francesco Marino (I racconti del pinerottolo), Lindo Nudo (Mia Martini: una donna, una storia, Amore e Stalking, Calabria, una storia), Anna Carabetta (Foragabbu e meraviglia). Per il cinema lavora in Fiabeschi torna a casa di Max Mazzotta, Scale model e Goodbye Mr. President di Fabrizio Nucci e Nicola Rovito, Recherche e Ecco sorride di Andrea Belcastro (premio miglior attore al concorso Brevi d'autore) e Al giorno d'oggi il lavoro te lo devi inventare di Mario Vitale. Ha frequentato stages e laboratori con Eugenio Barba e Julia Varley, Eimuntas Nekrošius, Peppino Mazzotta, Mimmo Borrelli. |
OMBRETTA CALCOdi Sergio Pierattini
con Milvia Marigliano
regia Peppino Mazzotta scene Roberto Crea costruzioni scene Angelo Gallo costumi Rita Zangari disegno luci Paolo Carbone macchinisti di scena Antonio Molinaro, Angelo Gallo organizzazione e distribuzione Monica Vicinanza direzione di produzione Lindo Nudo produzione Rossosimona - Officine Vonnegut - Unical Centro Arti Musica & Spettacolo GALLERY
'U PRINCIPICCHIURiduzione teatrale dal libro omonimo di Lindo Nudo
(Rubbettino Editore). Traduzione integrale in lingua calabrese de “Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry.
di e con Lindo Nudo musiche Giuseppe Oliveto regia Lindo Nudo responsabile tecnico Antonio Molinaro tecnico di palcoscenico Luigi Piccinino operatore video e foto Francesco Tenuta addetto stampa Franca Ferrami direzione di produzione Lindo Nudo produzione Teatro Rossosimona GALLERY - FOTO: Francesco Tenuta
FELICI MATRIMONIcon Paolo Mauro e Francesco Aiello
regia Lindo Nudo assistente regia Noemi Caruso scene Angelo Gallo costumi Rita Zàngari elaborazione suoni e consolle Alessandro Rizzo direzione di produzione Lindo Nudo produzione Rossosimona VIDEO
ROCK OEDIPUSLiberamente ispirato a testi di Sofocle, Eschilo, T.S. Eliot,
B. Brecht, G. Deleuze/F. Guattari, P. Virilio, G. Debord. di e con Manolo Muoio
sound engineering and live music Luca Pietramala consulenza ai costumi Rita Zangari responsabile tecnico Antonio Molinaro tecnico di palcoscenico Luigi Piccinino operatore video e foto Francesco Tenuta addetto stampa Franca Ferrami direzione di produzione Lindo Nudo produzione Teatro Rossosimona GALLERY - FOTO: Francesco Tenuta
LA GUERRA DI TADEUSZVincenzo Cirillo, artista italiano residente a Dijon (Francia),
dopo essersi confrontato con Jerzy Grotowski in Polonia, Pablo Neruda in Cile, Antonin Artaud in Francia e in Calabria torna a Cosenza per realizzare un nuovo spettacolo su uno dei miti del teatro mondiale del novecento: Tadeusz Kantor. Lo fa servendosi della collaborazione di artisti locali in quella che è una co-produzione franco-italiana con la compagnia teatrale ROSSO SIMONA diretta da Lindo Nudo. Cirillo è stato allievo di Kantor negli anni ’90 e ha potuto cogliere lo spirito dell’uomo e dell’artista durante il suo spettacolo Wielopole Wielopole. Le prove di questo spettacolo sono state realizzate a Cosenza. con Luigi Marino, Noemi Caruso e Arianna Luci
testo Vincenzo Cirillo regia Vincenzo Cirillo foto, video e grafica Francesco Tenuta addetto stampa Franca Ferrami direzione di produzione Lindo Nudo produzione Teatro Rossosimona/ Ombradipeter (Dijon) GALLERY
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Note di regia
Chi è Ombretta Calco? Perché si è seduta su una panchina in una giornata torrida di luglio, a pochi passi dal portone di casa sua? Perché deve ripercorrere gli eventi sensibili della sua vita scavando ossessivamente nei ricordi? Perché deve ingaggiare, sotto il sole cocente, un duello con se stessa come se fosse una resa dei conti? Ombretta sta facendo un viaggio. Il viaggio più importante della sua vita. Un viaggio fuori dai vincoli imposti dal tempo e dallo spazio. Mentre procede senza soluzione di continuità, nel passare in rassegna i momenti più significativi della sua esistenza, ne comprende il senso. Riemergono dalla sua anima dettagli, particolari, accenti, colori, sapori che riempiono i vuoti e danno nuova luce al quadro complessivo di una vita vissuta con sincera ingenuità, senza risparmi. Ombretta Calco ci assomiglia. Tutti i suoi fallimenti, i suoi dolori, le sue frustrazioni, le sue debolezze, le sue illusioni, le sue tenerezze, gli slanci incoscienti verso un futuro che sarà sicuramente migliore, i desideri legittimi di una vita normale, inclusa in affetti confortanti e routine rassicuranti, ci riguardano intimamente. Alla fine del viaggio, come premio per questa ricostruzione meticolosa, buffa e straziante, c’è la felicità. Una felicità non eclatante. Una felicità tragica, semplice, minima, discreta e necessaria. Peppino Mazzotta Note dell’autore L'estate scorsa passai parte del mese di Luglio a Milano. Un giorno mi trovai a passare per Piazza Maciachini diretto a casa di una amica che abita lì vicino. Erano passate da poco le tredici, e la giornata era torrida. Notai una donna seduta, immobile sopra una panchina. Quando fui a pochi metri da lei rimasi colpito dal colorito pallido del suo viso e dalla posizione del capo, immobile e leggermente reclinato all'indietro. Pensai che stesse dormendo ma avvicinandomi alla panchina notai che aveva gli occhi aperti e che respirava faticosamente. "Si sente bene signora?" le chiesi. Lei voltò lo sguardo verso di me e rispose sorridendo: "Sì, grazie, sto bene, solo un po' di caldo". Mi sentii di aggiungere: "Abita qui vicino? Posso accompagnarla se ha bisogno". "Mi passa… è solo il caldo. Mi è già passato, non si preoccupi". La salutai e proseguii la mia strada. Un'ora dopo ripassando per la piazza, notai un'ambulanza nei pressi della panchina dove poco prima avevo visto la donna. Mi avvicinai. In quel momento l’ambulanza ripartì a sirene spente. Chiesi a un passante cosa fosse successo. Mi rispose che una donna era stata trovata morta sopra una panchina. Il ricordo di quell'incontro, il senso di colpa di non aver fatto qualcosa che avrebbe potuto salvare la vita a quella donna, resero amari i giorni seguenti. Tornai a Roma ma ci volle molto tempo per dimenticare quell’episodio. Quest'anno, a maggio sono tornato a Milano. Una sera accetto l'invito a cena dell'amica che abita vicino a Piazza Maciachini. Manca poco alle otto. Ripasso da quella piazza. Seduta su quella stessa panchina vedo una donna. Mi avvicino: è immobile e il capo è leggermente reclinato all’indietro. E’ lei. La saluto, sorpreso. Lei alza la testa, mi sorride, ricambia il saluto. Il giorno dopo ho cominciato a scrivere Ombretta Calco. Sergio Pierattini “E dopo avì fattu a l’atre rose ‘ssa bella ramanzina, ‘u principìcchiu, s’era ricùotu addr’a vurpa.
Statti bòna, – l’avìa dittu. Statti bùonu, – l’avìa rispusu ‘a vurpa. - Statti a sentē ‘ssu segretu. È ‘nu segretu sèmplice sèmplice: si vida bùonu sulu ccu ru core. ‘E cose cchiù mportanti ‘un si vìdanu ccu l’ùocchi. ‘E cose cchiù mportanti ‘un si vìdanu ccu l’ùocchi, – avìa ripetutu ‘u principìcchiu ppe ‘un s’u scordà. È ‘u tìempu ca tu à’ perdutu apprìessu a ra rosa tua ca l’à fatta diventà accussì mportante. È ‘u tìempu ca iu ē perdutu ppe ra rosa mia, – avìa dittu chianu chianu ‘u principìcchiu ppe s’u ricordà. L’ùommini s’a su’ scordata ‘ssa verità. Ma tu ‘un ti l’à’ de scordà. Tu divìenti responzabbile ppe sempre ‘e chiru ch’à’ addumesticatu. Tu si’ responzabbile d’a rosa tua. Iu signu responzabbile d’a rosa mia, – avìa ripetutu ‘u principìcchiu ppe ‘un s’u scordà”. “Ora che il tuo viaggio sta per planare sulla Calabria, dopo aver fatto il giro del mondo, sei pronto a parlare il profumo dei pini e la freschezza del mare? ... e quando deciderai di andare via il colore del nostro grano sarà ancora più bello” L’introduzione in sintesi Il Piccolo Principe è un miracolo di incanto. Dalla sua nascita si è rigenerato in tutte le lingue del mondo per testimoniare e celebrare la potenza dell’immaginazione, la magia della scoperta e la forza rivitalizzante dello stupore. Questo ometto dai capelli color oro, mai smarrito o impaurito, è il nemico giurato del cinismo; lo combatte senza tregua, opponendogli la sua curiosità innocente. Il romanzo, nato dall’ingegno di Antoine de Saint-Exupéry, è un farmaco per l’anima. Il suo principio attivo, la poesia, è un balsamo universale contro il torpore e l’aridità di spirito. Il principino che abita le pagine più lette al mondo dopo quelle della Bibbia, ci osserva con grande serietà e ci offre generosamente delle risposte. Risposte enigmatiche la cui profondità attende di essere svelata in un gioco in cui domande e risposte si stimolano a vicenda. I 140 milioni di libri venduti in tutto il mondo, ai quali va aggiunto il milione di ristampe acquistate ogni anno, sono la prova tangibile di questo contagio. Una pandemia silenziosa, ma inesorabile, che si è propagata fino agli angoli più remoti del pianeta, costringendo il piccolo principe a imparare tutte le lingue del mondo; anche quelle più rare come il Toba, dialetto di un popolo indigeno del Nord del Brasile e il Tifinagh, la lingua parlata dai Tuareg nel deserto. Le parole del piccolo principe sono diventate un idioma universale, il suo messaggio un patrimonio dell’umanità. A oggi si contano più di 250 traduzioni, che lo decretano come uno dei più sorprendenti successi della storia editoriale. Se si potessero leggere, ad alta voce e simultaneamente, tutte le edizioni del romanzo si sentirebbe il suono del mondo. In Italia oltre alle numerose edizioni in lingua esistono diverse traduzioni in dialetto. Il piccolo principe italiano tiene per mano Lu Principeddhu gallurese, El Principin Piscinin milanese, Er Principotto romano, Al Principin reggiano, Il Principe Piccerillo napoletano, Il Pranzip Fangén bolognese, Il Picul Princip friulano, U Prengepine barese, El Cit Prinsi piemontese, Il Principe picinin veneto e U Principinu palermitano. Alla nutrita schiera di piccoli principi vernacolari, si aggiunge oggi anche quello calabrese, o più precisamente cosentino-rendese, grazie alla devozione del compilatore di questa traduzione che, prima che traduttore e linguista, è ed è stato un collezionista appassionato di edizioni de Il piccolo principe provenienti da tutto il mondo; tanto appassionato da predisporre nel suo salott una vera e propria teca per la sua collezione. Lindo Nudo ha per la sua raccolta una cura maniacale. Cura che ha trasferito anche al suo lavoro di traduttore, trattando ogni singolo significante al pari dei suoi preziosi volumi. Peppino Mazzotta (estratto dalla prefazione del libro ‘U Principìcchiu di Lindo Nudo - Rubbettino Editore) E dopo il fatidico si, lo scambio delle fedi,
la commozione di parenti e amici, gli estenuanti festeggiamenti, le foto, le bomboniere, nella giornata più importante della loro vita, una giovane coppia di sposi, finalmente soli, come tradizione vuole, con lei in braccio a lui, fanno ingresso in scena, pardon, nel loro nido d’amore, dove consumeranno la loro prima notte di nozze. La coppia consumata dagli anni di convivenza vive il dramma, cinico e ironico, della malattia di uno dei due coniugi. Il marito, assiste la moglie, gravemente ammalata, al suo capezzale, per accompagnarla, quanto più velocemente possibile, ad altra vita. Una coppia di attori, divertenti, istrionici, si cimenta e si alterna, nel gioco del travestimento al femminile, tanto sfruttato in ambito cinematografico, con risultati esilaranti, in una commedia leggera e frizzante. Nel buio, colto dalla paura, un bambino si rassicura canticchiando. Cammina, si ferma al ritmo della sua canzone.
Sperduto si mette al sicuro come può o si orienta alla meno peggio con la sua canzone. Essa è come l'abbozzo nel caos di un centro stabile e calmo. (...) C'è sempre una sonorità nel filo d'Arianna. O il canto d'Orfeo. (G.Deleuze/F.Guattari - "Millepiani. Capitalismo e schizofrenia") NOTE DI REGIA Rock significa scuotere, far vibrare, far tremare, ma vuol dire anche cullare. Quando Lindo Nudo mi ha chiesto di partecipare con un mio "pezzo" alla rassegna “PassatoPresenteFuturo” della compagnia Rossosimona, subito sono riemersi alcuni "materiali d'attore" che a lungo avevo cullato dentro di me e che era ora di tornare a scuotere, far vibrare e far tremare. Ne è venuto fuori un mio strabico personale Edipo, che parte dallo spettacolo Piedi Gonfi risalente a quindici anni addietro ("tre illusori lustri") e va "irrevocabilmente a scontrarsi" con altri frammenti del mio percorso esistenziale di umile e ostinato artigiano del teatro: i situazionisti francesi, la Waste Land di Eliot, i Sette a Tebe, la coreografia contemporanea, le danze primitive. Edipo è il front-man, il re-sciamano che testimonia di altre relazioni con le donne, coi bambini, con gli animali. L'attorice o attricere in transito perenne tra illusione e realtà. Un deposito perduto di testi, memorie e oggetti-feticcio è precipitato in “piccolo-privato-perverso” immaginario rock. Quello che ci ha portato a uccidere i padri e a partire alla cieca verso mondi sconosciuti. Un pugno di oscure tracce psichedeliche scaturisce live dalla chitarra elettrica di Luca Pietramala che accompagna questo scombinato viaggio tra teatro, rock e performance. Dopotutto ogni attore non è altro che un cantante mancato. La tragedia nasce dallo spirito della musica. Certamente stoneremo qualche nota, ma ormai abbiamo imparato bene che quello che conta è l'attitudine. Manolo Muoio Il piccolo Tadeusz viene abbandonato dal padre,
il quale non farà più ritorno a casa. Tadeusz trova rifugio nei suoi sogni teatrali. Si confessa e prova a ricostruire la sua vita, identificando l’uomo con l’attore; prova ad avvicinare lo spettatore all’universalità di un’idea, ma senza rinunciare al piacere di confonderlo. Questa è la storia di una guerra senza sangue, piena di soldati fantasma. Una guerra fatta di uomini che amano, soffrono, lottano e muoiono. Una guerra neanche troppo diversa da tutte le altre guerre, in quanto, anch’essa, inutile. Le immagini sono dipinti su un palcoscenico insolito, fatto di luci e di ombre, dove al posto dei colori ci sono gli attori che diventano anima e corpo e parlano a tutti: non importa quale sia la nazione in cui lo spettacolo è rappresentato. La guerra di Tadeusz è fatta di milioni di storie ed una sola: quella dell'umanità. Il sogno di questa rappresentazione è quello di mostrare l’ineluttabile precarietà della vita scuotendo lo spettatore dal sonno della misera quotidianità. |
PROGRESSO REGRESSOdi e con Francesco Pupa
musiche Marco Pupa scenografie Luigi Piccinino e Antonio Leone luci e audio Luigi Piccinino aiuto regia Antonia Gualtieri regia Francesco Pupa responsabile tecnico Antonio Molinaro tecnico di palcoscenico Luigi Piccinino operatore video e foto Francesco Tenuta addetto stampa Franca Ferrami direzione di produzione Lindo Nudo produzione Teatro Rossosimona GALLERY - FOTO: Francesco Tenuta
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Una terra bellissima, piena di storia e di mistero, una delle colonie più fiorenti della Magna Grecia, una terra con una grande memoria storica, che non riesce però a ergersi su quelle sue vecchie colonne e reggere il peso dell’attuale crisi generale.
Crotone, è una città sullo Ionio che non ha fatto tesoro della sua storia e della bellezza delle sue coste, una città che con l’avvento delle fabbriche era destinata a crescere sempre più, ma qualcosa non è andato per il verso giusto. Il tanto aspettato “progresso” arrivato negli anni passati e destinato a crescere, si è bloccato. Anno dopo anno, con la chiusura delle fabbriche, la cattiva gestione dei politici sul territorio e il mancato interesse di quasi tutta la popolazione, ha subito un forte “regresso”. Il “regresso” ha fatto si che tutti i mezzi di trasporto e le loro strade, che sia l’asfalto, la ferrovia, il mare o il cielo cadessero in disgrazia o siano sempre lì per lì per cadere in disgrazia. Lo spettacolo parte con il racconto del porto, Crotone era uno dei più importanti porti di mare del mediterraneo, dove le navi si fermavano qui per caricare frutti della terra di ogni tipo, o addirittura le navi venivano costruite proprio qui con il legname della Sila. Il racconto salta da una nota dolente all’altra, si passa a quella delle ferrovie, o per meglio dire dei treni, quei i treni che dalla costa ionica salivano al nord e che passavano tutti dalla stazione di Crotone o partivano direttamente da essa, per andare a Roma, Bologna, Firenze, Milano, Torino. Con la chiusura delle fabbriche, si dice che ci sia stata una diminuzione dei passeggeri, anche se non provata, che ha portato alla soppressione di questi treni. Ci sarebbe da dire, che ogni giorno i pullman che vanno a Nord sono sempre pieni e partono da ogni parte della Calabria. Il salto più lungo e pietoso viene fatto sulla strada statale 106 ionica, nel il 1928 durante il fascismo, fu emanato l’atto di istituzione della strada statale 106 Ionica, precisamente il 17 maggio, con il provvedimento numero 1094, nel 2015 la s.s. 106 resta ancora incompiuta, anzi a tratti una “mulattiera” e conta più vittime della missione militare in Afghanistan. Il racconto prosegue con l’aeroporto di Crotone, che sembra sia sempre li per li per chiudere, salvato sempre in extremis, un aeroporto che vanta un incremento di prenotazioni voli del 200% ma che viene sempre bistrattato. Non da meno è l’importanza storica di quest’aeroporto durante le guerre mondiali. Il protagonista dello spettacolo è un ragazzo calabrese come tanti altri che a tratti mette le vesti del “cuntista”, rifacendosi a storie vere e le racconta, vivendole in prima persona, cercando anche una spiegazione ai vari disagi che i cittadini subiscono ogni giorno. Un viaggio continuo, su tutti i mezzi, senza pause, energico, alternando costantemente momenti comici a quelli romantici, nostalgici, accompagnato da suoni che vengono fuori da strumenti particolari o riprodotti vocalmente. Lo spettacolo parla di questa città che con l’avvento delle fabbriche aveva cominciato a sognare, era chiamata la “Stalingrado” dell’Italia meridionale, con la loro chiusura è andata sempre più in disfacimento da tutti i punti di vista. Il disfacimento non è solo politico, economico, turistico e culturale, ma è anche sociale, in casa, nella famiglia. Portato allo sfinimento da questa crisi generale, il nostro protagonista prende una decisione da vero cittadino attaccato alla sua terra. Mette in atto un sogno semplice, quello di alzarsi finalmente dalla poltrona e fare una rivoluzione per rivendicare i propri diritti, ma gli idoli “pallonari” (inteso come termine calcistico), avranno il sopravvento, lo faranno desistere dal fare questa rivoluzione. Francesco Pupa |
SENZA MERAVIGLIEcon Stefania De Cola
testo Raffaele Aiello costumi Rita Zangari elaborazioni sonore Alessandro Rizzo regia Stefania De Cola responsabile tecnico Antonio Molinaro tecnico di palcoscenico Luigi Piccinino operatore video e foto Francesco Tenuta addetto stampa Franca Ferrami direzione di produzione Lindo Nudo produzione Teatro Rossosimona GALLERY - FOTO: Francesco Tenuta
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«Un insieme di sintomi di tipo neurologico caratterizzati da uno scotoma scintillante che precedono un attacco di emicrania, causati da un'onda di depressione corticale».
Questa è una delle più comuni definizioni mediche nelle quali potrebbe imbattersi chi volesse sapere cos'è l'aura emicranica. Inevitabile, per chiunque si metta alla ricerca di informazioni sull'aura, è l'incontro con Lewis Carroll e il suo celeberrimo romanzo “Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie”. É ormai certo che lo scrittore inglese fosse affetto da aura emicranica e che furono i sintomi di questa a suggerirgli alcune tra le più popolari immagini del romanzo. Lo spettacolo, servendosi degli strumenti del teatro di narrazione, costituisce il tentativo di descrivere e rappresentare i sintomi associati a questi stati ed entrare nel Paese delle Meraviglie. Più di tutto, però, verrà raccontata la storia di una donna attraverso diverse fasi della sua vita. Ed è questo che reputiamo più importante; in fondo, di una sindrome come di un romanzo, quello che conta sono le persone. |
IQBAL UN’ALTRA STORIA PICCINAcon Noemi Caruso, Luigi Marino, Arianna Luci
testo e regia Luigi Marino musiche Luigi Marino, Arianna Luci coreografie Noemi Caruso durata: 45' tecnico di palcoscenico Luigi Piccinino responsabile tecnico Antonio Molinaro operatore video e foto Francesco Tenuta addetto stampa Franca Ferrami direzione di produzione Lindo Nudo produzione Teatro Rossosimona GALLERY - FOTO: Francesco Tenuta
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Potrebbe essere una commedia
ma una commedia che non fa ridere o(pure) una tragedia che fa sorridere. Una storia piccola piccola come ce ne sono tante ma che rischia di essere dimenticata. I bambini hanno la capacità di trasformare ogni strumento in un gioco. Per gli adulti ogni strumento può diventare un’arma. IQBAL MASIH aveva quattro anni quando suo padre decise di venderlo come schiavo a un fabbricante di tappeti per ripagare un debito familiare. Con questo spettacolo NOEMI CARUSO, LUIGI MARINO e ARIANNA LUCI vogliono svelarvi la storia di un bambino indimenticabile. |
SPARI E DISPARI |
Come si può raccontare l'orrore di una faida?
Le uccisioni, le vendette, il cinismo spietato, il sangue, la morte di cui queste guerre infinite si nutrono? Da dove partire per evitare di rendere il teatro un resoconto giornalistico, un elenco di fatti, nomi e luoghi? Abbiamo pensato che l'ironia potesse fornirci la possibilità di affrontare l'argomento senza banalizzarlo, fornendoci lo stimolo a concentrarci sulle radici culturali e sulle forme mentali che hanno dato principio a quelle guerre tra famiglie che hanno fatto rimbalzare il nome di alcuni piccoli centri della provincia calabrese sulle pagine di quotidiani e rotocalchi internazionali. Due attori e quattro personaggi danno vita a un un continuo inseguimento tra vittime e carnefici in cui i ruoli arrivano a confondersi e alternarsi e in cui tutti sembrano rincorrere l'atto di vendetta perfetto, che confermi e consolidi gli equilibri tra le famiglie. Il meccanismo, antico e ben rodato, s’inceppa però quando qualcuno osa porre una domanda: "Perché? Perché tutto è cominciato?". Nessuno sembra poter rispondere al semplice quesito e le situazioni che ne scaturiscono sono grottesche, comiche, al limite dell'assurdo ma tutte vogliono mettere in luce la follia che sta dietro a faide infinite, che si lasciano alle spalle decine di morti per motivi, a volte, ridicoli e banali. Occhio per occhio e il mondo diventa cieco. Mahatma Ganhdi Di fronte alla cattiveria e al grottesco della vita, l'ironia è un modo di reagire, di farsi del bene. Daniel Pennac |
di Ciro Lenti
con Paolo Mauro, Francesco Aiello
regia Paolo Mauro, Francesco Aiello
costumi Rita Zangari
produzione Rossosimona
regia Paolo Mauro, Francesco Aiello
costumi Rita Zangari
produzione Rossosimona
GALLERY
CONTRAPPUNTO DI DOLCEZZA E FURORE
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Un viaggio, un itinerario verso l’anima più intima di una Calabria,
grande e amara, lussureggiante ma sofferente, fiera ma sconvolta. Nello spettacolo c’è il fascino perturbante dei luoghi, il calore del sole, i profumi, i colori, le passioni. C’è, però, anche l’umiliazione degli emigrati, stranieri e offesi; la violenza del terremoto di Reggio e Messina, che distrugge, rade al suolo, fa paura; la durezza di una vita povera, sopraffatta, e, a volte, senza riscatto. Il testo del recital è frutto di un’attenta selezione e giustapposizione di prosa e poesia calabrese. A partire dagli scritti densi e tormentati di Leonida Rèpaci, fino ai versi delicatissimi e leggeri di Lorenzo Calogero, per passare poi attraverso le parole di Franco Costabile e Vittorio Butera. Nell’impasto linguistico e sonoro c’è pure spazio per il dialetto (cifra stilistica da sempre cara a Teatro Rossosimona) che vive nel brano I fraticìaddri di Francesco Suriano e nella traduzione di Salvatore Scervini in vernacolo del quinto canto dell’Inferno dantesco. Un incastro di emozioni, impressioni, immagini che testimoniano dell’esperienza di vita in una terra che toglie, deruba, maltratta, ma pure, lentamente, sa restituire, gratificare, ricompensare. Lo spettacolo è insieme un canto d’amore alla Calabria, appassionato e sofferente, e un omaggio a chi della Calabria ha saputo cogliere le più profonde contraddizioni. |
EDIPO A TERZIGNO
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fortunato_cerlino.doc | |
File Size: | 25 kb |
File Type: | doc |
GALLERY
Un deposito di rifiuti abbandonato fa da rifugio a un capocamorra
braccato dalle forze dell'ordine. Ovunque piccole sculture
che raffigurano Padre Pio e il Cristo. Un uomo dello stato dialoga
con il capocamorra, cerca di convincerlo ad arrendersi,
viene a chiedere un rimedio al morbo dei rifiuti che soffocano la città.
L'epoca degli affari sulla monnezza deve ormai finire.
Il nuovo affare dell'uomo ritrovato si chiamerà risanamento.
Il politico spiega all'amico camorrista il nuovo business.
Per procedere però, la vecchia icona del male deve sacrificarsi.
Il mondo, la società, hanno bisogno di un agnello sacrificale,
un serpente a cui schiacciare la testa.
Nello stesso deposito una statua di madonna prende vita.
Rapita dalle gesta eroiche della società sportiva calcio Napoli,
rincorre il senso della sua presenza nella vita umana.
La madonna del pallone è estasiata dalle capacità tecniche e creative
di quegli uomini in calzoncini, capaci di miracoli.
La santissima crede che tutta l'umanità sia ormai una squadra
pronta a vincere la sfida con la propria condizione.
Sequenze di parola si alternano ad azioni fisiche; riti di immagini astratte
e situazioni psicologiche che danno libertà alle metamorfosi dell'inconscio, suggestionate dai temi della corruzione, del morbo, dell'eroe deforme.
Note di regia Se le denunce di Saviano, la Capacchione, di Sodano,
e di tanti altri coraggiosi che osano sfidare apertamente le connivenze
tra camorra e politica nella gestione dei rifiuti, ci mettono di fronte
ad una realtà che supera la fantasia, allora alla fantasia resta la possibilità
di divenire mito. L'abitudine ad atti di una mostruosità crescente
è un morbo devastante; la sensazione che le cose non possono essere
cambiate è una malattia che silenziosamente fiacca lo spirito,
rende l'uomo passivo e cieco, deforma, ammala le carni e l'anima.
La (comprensibile) paura genera connivenza, la paralisi genera mostri, tumori in giacca e cravatta, oppure abbronzati, palestrati, armati, affamati di materia
e dolore, controfigure di eroi da film d'azione americani.
Il mito allora, come le favole, offre la possibilità di rileggere la cronaca.
Oggi, più che mai, occorre verificare se è ancora vivo un qualche Dio,
anche laico, che abita le nostre stanze segrete e che ci offre un enigma
a cui rispondere. L'uomo sfida il proprio destino, avvelena la propria
misteriosa bellezza. Deturpare la terra è come violentare la propria madre. Questo secolo iniziato con crolli e ribellioni della natura, che fatica a tenere
in ordine i numeri di una economia astratta, che si rifugia nel virtuale
mentre fuori dalla finestra piovono rane, vuole forse suggerire
un cambiamento, una riflessione sulla condizione umana?
Edipo percorre un futuro che è nel suo passato.
Come un criceto su una ruota in gabbia si illude di fuggire il suo destino.
La sua malattia e la sua punizione sono la cecità.
Fortunato Cerlino
braccato dalle forze dell'ordine. Ovunque piccole sculture
che raffigurano Padre Pio e il Cristo. Un uomo dello stato dialoga
con il capocamorra, cerca di convincerlo ad arrendersi,
viene a chiedere un rimedio al morbo dei rifiuti che soffocano la città.
L'epoca degli affari sulla monnezza deve ormai finire.
Il nuovo affare dell'uomo ritrovato si chiamerà risanamento.
Il politico spiega all'amico camorrista il nuovo business.
Per procedere però, la vecchia icona del male deve sacrificarsi.
Il mondo, la società, hanno bisogno di un agnello sacrificale,
un serpente a cui schiacciare la testa.
Nello stesso deposito una statua di madonna prende vita.
Rapita dalle gesta eroiche della società sportiva calcio Napoli,
rincorre il senso della sua presenza nella vita umana.
La madonna del pallone è estasiata dalle capacità tecniche e creative
di quegli uomini in calzoncini, capaci di miracoli.
La santissima crede che tutta l'umanità sia ormai una squadra
pronta a vincere la sfida con la propria condizione.
Sequenze di parola si alternano ad azioni fisiche; riti di immagini astratte
e situazioni psicologiche che danno libertà alle metamorfosi dell'inconscio, suggestionate dai temi della corruzione, del morbo, dell'eroe deforme.
Note di regia Se le denunce di Saviano, la Capacchione, di Sodano,
e di tanti altri coraggiosi che osano sfidare apertamente le connivenze
tra camorra e politica nella gestione dei rifiuti, ci mettono di fronte
ad una realtà che supera la fantasia, allora alla fantasia resta la possibilità
di divenire mito. L'abitudine ad atti di una mostruosità crescente
è un morbo devastante; la sensazione che le cose non possono essere
cambiate è una malattia che silenziosamente fiacca lo spirito,
rende l'uomo passivo e cieco, deforma, ammala le carni e l'anima.
La (comprensibile) paura genera connivenza, la paralisi genera mostri, tumori in giacca e cravatta, oppure abbronzati, palestrati, armati, affamati di materia
e dolore, controfigure di eroi da film d'azione americani.
Il mito allora, come le favole, offre la possibilità di rileggere la cronaca.
Oggi, più che mai, occorre verificare se è ancora vivo un qualche Dio,
anche laico, che abita le nostre stanze segrete e che ci offre un enigma
a cui rispondere. L'uomo sfida il proprio destino, avvelena la propria
misteriosa bellezza. Deturpare la terra è come violentare la propria madre. Questo secolo iniziato con crolli e ribellioni della natura, che fatica a tenere
in ordine i numeri di una economia astratta, che si rifugia nel virtuale
mentre fuori dalla finestra piovono rane, vuole forse suggerire
un cambiamento, una riflessione sulla condizione umana?
Edipo percorre un futuro che è nel suo passato.
Come un criceto su una ruota in gabbia si illude di fuggire il suo destino.
La sua malattia e la sua punizione sono la cecità.
Fortunato Cerlino
CUOREAdattamento drammaturgico e regia Lindo Nudo
Con Stefania De Cola, Carlo Gallo, Alessio Totano, Paolo Mauro, Leonardo Gambardella, Francesco Pupa, Francesco Aiello Scene Angelo Gallo Costumi Rita Zangari Disegno Luci Paolo Carbone Elaborazione suoni e musiche Alessandro Rizzo GALLERY
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Come parlare ai ragazzi, ai bambini, agli adolescenti di oggi?
Come comunicare con loro, come affrontare argomenti di loro interesse? Come incoraggiarli a un’etica della pace, della civiltà, dell’incontro, della creazione di valore, in questo loro inizio nel viaggio della vita? Come educarli a crescere, in maniera costruttiva, in un mondo globalizzato, sconvolto di continuo da conflitti e problemi difficili da affrontare e risolvere. Come porgere loro gli insegnamenti su cui noi adulti abbiamo costruito il nostro percorso esistenziale? Infine, come raccontare e insegnare loro il valore, gli insegnamenti, il “Rispetto della Storia”? La storia dei propri genitori, dei propri nonni, dei propri bisnonni. La storia di una nazione. La storia dell’Italia. A dispetto della cattiva politica, che continua a relegare in secondo piano gli investimenti nella cultura e nella formazione, noi artisti lavoriamo a una inversione di tendenza. Noi anteponiamo la “Pedagogia della creazione” a tutto il resto; facciamo di tutto per insegnare ai nostri giovani a dissotterrare i semi di bellezza, civiltà e cultura che sono presenti in ogni attimo della nostra esistenza. “Cuore” è un libro di dirompente dolcezza e fragilità che da subito mi ha appassionato con i suoi racconti mensili, le pagine di diario, le storie dei giovani allievi e delle loro famiglie. L’idea di adattare e mettere in scena il libro Cuore è stata per me una sfida complessa ma nello stesso tempo stimolante. La ri-lettura del romanzo mi ha emozionato e commosso come non mi succedeva da tempo. Una sequenza di sentimenti e passioni incalzanti, in cui, a dispetto delle avidità, degli egoismi e della cultura della diffidenza, della nostra società quotidiana, prevale sempre la buona azione, il buon sentimento, l’altruismo, il desiderio di offerta sincera, l’incontro tra gli esseri umani. Da anni lavoro con giovani e adolescenti e sempre di più sono convinto dell’importanza della cultura della bellezza. Sempre di più, in me, si rafforza l’idea che la lotta contro i mali della nostra epoca, passa, inevitabilmente, attraverso la crescita del “bello”. La malvagità si sconfigge creando i presupposti perché aumenti la bontà. L’ignoranza si combatte trovando nuove forme di cultura. La dispersione scolastica e sociale si costruisce creando opportunità, offrendo ai giovani spazi di verità e di civiltà. Cuore per me significa tutto questo. Un’opportunità, attraverso un romanzo. Uno spettacolo teatrale che diventa un pretesto virtuoso e serio per raccontare le nostre origini, per capire meglio il nostro presente e soprattutto per creare un futuro migliore dove trovi sempre più spazio il “Rispetto”, della nostra vita e della vita degli altri, facendoci indicare la strada, sempre, semplicemente, dal nostro CUORE. Lindo Nudo |